domenica 8 marzo 2015

8 MARZO: IL MIO AUGURIO

Le 150 donne che muovono il mondo, lista pubblicata sul Newsweek nel marzo 2011
Emma Bonino prima della seconda riga

Oggi, 8 marzo, il mio pensiero va a tutte le donne che soffrono per innumerevoli e svariati motivi in ogni parte del mondo.
Il mio augurio a tutte le donne del mondo, me compresa, è che possiamo maturare una tale e profonda consapevolezza di noi stesse e del nostro valore da diventare le più preziose alleate di noi stesse e delle nostre compagne. Auguri a tutte!

                                                                                      Roberta


Dedico qui di seguito alle donne che s'infliggono dolore, inseguendo chi non è in grado di rispettarle ed amarle, questa interessante riflessione tratta da http://periodici.repubblica.it/d/



Galimberti: “Perché Narciso non vale l’amore”

Secondo il mito, quando amiamo chi non sa amare, dobbiamo attenderci le punizioni di Eros. Nella realtà, vuol dire imparare a non credersi onnipotenti

di Maria Luisa Campobasso e Umberto Galimberti,
D Repubblica, 22 marzo 2014 


Sono una psicoterapeuta e insegno in una scuola di formazione in psicoterapia relazionale, dove le sue pagine sono un utile materiale di riflessione e di confronto per le discussioni con i miei allievi. Le scrivo a proposito del narcisismo, tema che più volte lei ha affrontato, e che secondo me oggi è di grande attualità. Vorrei interrogarmi e interrogarla circa la “relazione narcisistica”, ampliando lo sguardo sulla ninfa Eco che, nel mito, di Narciso è vittima – per intenderci – e tornare al “miracolo dell’amore” che Lei auspicava per il collega psicologo narcisista che in una lettera le sottoponeva i suoi tormenti. Nella mia esperienza clinica vedo tante donne spesso belle, intelligenti e affascinanti, che fanno a pezzi la propria vita rincorrendo questo “miracolo d’amore”. Non smetto mai di sorprendermi per la quantità di energia che sono disposte a investire in questa relazione “disperante” che, proprio nell’accanimento onnipotente a diventare “qualcuno” per il partner (per il quale sono invece solo estensione narcisistica del sé) trova la sua marca patologica. Quando pare che, ridotte ormai come Eco nel mito, si decidano a mollare, ecco che si riattiva il gioco del partner che, proprio nella conquista di donne così importanti, alimenta il senso del suo sé (il cosiddetto “amore”). Poiché poi il narcisista è un magnifico incantatore, ci riesce e tutto ricomincia, anche il dolore che si cronicizza in sofferenza. Vorrei che nelle sue pagine, che sono un riferimento per tante donne, lo scrivesse, che il miracolo dell’amore non consiste nel cambiare l’altro, semmai nella possibilità che, attraverso l’altro, ci è data di cambiare noi stessi. Per esempio facendo quanto è possibile per ritrovare in noi stessi il senso del nostro vivere, senza delegarlo al valore che l’altro è disposto a riconoscergli. Maria Luisa Campobasso

Narciso era un giovane bellissimo circondato dall’amore e dall’ammirazione di quanti lo incontravano, ma alle profferte d’amore, che pure lo gratificavano, restava indifferente. Un giorno, di Narciso si innamorò la ninfa Eco che, non ricambiata e respinta, si consumò di dolore fino a morirne. Di lei rimase solo il ritorno della sua voce, l’eco appunto. Questo è il destino che attende le donne che amano i narcisisti, spinte dalla persuasione, tutta femminile, di poter cambiare col tempo e con le loro premure gli uomini che amano. Questa convinzione, che penso abbia le sue radici nello sfondo di onnipotenza presente in ogni donna – forse derivato dal fatto che, in quanto generatrice, la donna ha il potere di vita e di morte – è tipico non solo di colei che ama i narcisisti, sopportando ogni sorta di frustrazione e delusione, ma anche di chi ama i violenti, subendo ogni sorta di brutalità, maltrattamento, abuso, sopraffazione, come ogni giorno le cronache ci riferiscono. E allora è bene che le donne ricordino che possono generare i bambini, ma non ri-generare gli adulti, ormai solidificati e direi anche pietrificati nella loro identità. L’amore, è vero, è una potenza che può trasformare gli uomini. Ma non i narcisisti, che sono tali proprio perché, oltre a se stessi, non sanno amare nessun altro. Lo stesso Freud riteneva che non ci fosse cura per loro, per il semplice fatto che, incapaci di una relazione con l’altro da sé, non sono in grado di instaurare una relazione emotiva neppure con il loro terapeuta. Eppure incontrare un narcisista e innamorarsi di lui non è del tutto inutile, perché la sofferenza che si accumula in questa relazione può indurre la donna, se saggia, a ridurre il suo vissuto di onnipotenza ed evitare così l’autoinganno che le fa credere che, insistendo, possa cambiare le cose. Capisco che l’idea di riuscire a cambiare le cose costituisce per la donna a sua volta una gratificazione narcisistica, ma siccome il tentativo non approda, è inutile sprecare la propria esistenza per gratificazioni narcisistiche che comunque non arrivano. E allora la conclusione è quella indicata dalla psicoterapeuta che ha scritto questa lettera, ove si lascia intendere che amore non è solo conoscenza dell’altro, ma innanzitutto conoscenza di sé, nelle regioni, mai frequentate, dove veniamo a trovarci quando ci innamoriamo. Nello scenario tutto nuovo che amore dischiude possiamo conoscere, oltre alle nostre virtù che prima ignoravamo, anche i nostri limiti che nessun desiderio, neanche il più spasmodico, può superare. E il primo limite che dobbiamo riconoscere è quello della onnipotenza che la follia d’amore alimenta in noi, lasciando il narcisista, che non sa amare, nella più assoluta indifferenza.

venerdì 6 marzo 2015

IL CIELO IN UNA STANZA

isolamento come difesa, solitudine come ascolto di sé,
autoritratto come autoindagine, ARTE COME CURA

Mettiamo una ragazza di 27 anni.
Mettiamo un paese dove la guerra non lascia tregua.
Dove il quotidiano tende i nervi come corde di violino, per i bombardamenti, le uccisioni, le violenze, le restrizioni, l'angoscia, il terrore, l'incertezza.
Dove, come direbbe Ungaretti, "si sta come d'autunno sugli alberi le foglie".
E ad un certo punto qualcosa si spezza e non si regge più. E' come uno strappo.

O un'implosione.
Gli stimoli e le situazioni sono scatenanti, il livello d'ansia è ai massimi termini, l'angoscia cresce, incontenibile. Tutto è buio, senza speranza, talmente cupo da condurre a pensieri suicidi.


Ma.
C'è un Ma.
Questa ragazza ha le sue risorse. Umane, psichiche.
E fa appello a queste. Con tutta la sua forza e la sua disperazione.
Tra le sue risorse c'è anche una creatività spiccata.
Lei è una giovane artista.

Si chiama Nidaa Badwan. E' palestinese. Vive a Gaza.

L'ennesimo episodio di violenza e tensione la porta ad allontanarsi dal mondo.

Nidaa si isola, trasforma la sua stanza di neppure dieci metri quadrati nel suo rifugio.
Si isola, in questo spazio illuminato da una sola finestra e da una lampadina nuda.
Per quasi un anno.

Una stanza con una parete verde e con un'altra interamente rivestita da un patchwork di cartoni per le uova colorati.
Pochi arredi e una macchina da cucire d'epoca, un ferro da stiro, due cavalletti, una grande scala gialla e una piccola bombola a gas su cui poter preparare un cappuccino.


E la sua inseparabile macchina fotografica: una Canon EOS 600D.


Wissam Nassar for The New York Times
Nel corso dei primi due mesi Nidaa fatica a dormire, nonostante le pillole.
Fatica a sorseggiare anche la minestra che sua sorella le porta regolarmente.
Vorrebbe soltanto morire.

E poi...

"Lentamente, lentamente, iniziai ad amare l'isolamento - spiega in un'intervista al New York Times - Non era una malattia, ma un modo per guarirmi".


C'era quella luce che entrava dalla finestra e c'era la sua macchina fotografica.
Inizia così, a scattare. Scatti su scatti che divengono autoritratti.
Scatti che consentono di auto-osservarsi. Di ri-conoscersi.


L'oggetto dell'autoritratto è anche autore, soggetto, spettatore.
E l'autoritratto è una delle più potenti vie per indagare se stessi.

Uno dei più potenti canali per esprimere affetti, conflitti, desideri.
Per distanziarsene, osservandoli. Per osservarli, distanziandosene.
Auto-ritrarsi per regalarsi uno sguardo. Per scoprire aspetti di sé.
Per giocare con le molteplici identità e per giungere ad auto-identificarsi.

Perché ogni autoritratto, pensato, immaginato, realizzato, osservato, non fa che rievocare le tappe della formazione dell'Io, con le relative inquietudini circa la necessità/difficoltà a definire la propria identità, ma allo stesso tempo diviene possibilità di rielaborazione di queste inquietudini e angosce. Si fa catarsi, tras-formazione.

Lo sa molto bene anche l'artista e fotografa Cristina Nuñez che ha fatto dell'autoritratto fotografico quasi una missione, tenendo 2.700 sessioni di autoritratto in tutto il mondo.
Lo sanno bene gli arteterapeuti e l'hanno sperimentato gli innumerevoli artisti di cui è testimone la storia dell'arte.
E come afferma Stefano Ferrari nel suo saggio Lo specchio dell'Io

"La costruzione del proprio io, a cui l'autoritratto allude, non cessa con la fase dello specchio. (...) ogni incontro, ogni evento di qualche rilievo, ogni conquista o sconfitta, ogni scelta importante rimette in discussione il nostro senso d'identità, in maniera tale che il nostro Io e l'immagine che lo rappresenta devono venire, per così dire, riaggiornati e riprogrammati. Non a caso, il bisogno di farsi ritrarre è spesso correlato a momenti più o meno cruciali della vita di un uomo".

Ma, come sempre, l'artista ha bisogno di testimoni.
Ad un certo punto il suo solo sguardo non è più sufficiente ed è necessario lo sguardo dell'altro.

E per Nidaa questo è comunque un modo per riaffacciarsi sul mondo, seppur con cautela.

Gli scatti di Nidaa Badwan diventano una storia, un progetto.

Poi una mostra: "100 Days of Solitude".
Cento giorni, in omaggio a Garcia Marquez. 
La mostra si è appena conclusa, al Hoash Palestinian Art Court a Gerusalemme.

Ecco alcuni degli scatti, anzi, degli auto-scatti:















FONTI: